Nel confronto gioioso con la natura Giuseppe Boaretto trova la consapevolezza di essere fatto della stessa materia viva di cui il pittore rintraccia nel profondo la struttura.
Andare oltre il velo del reale toccando i luoghi della creazione. Il metodo di ricerca e di invenzione è la poesia: metafora della nascita del mondo. Martin Heidegger ha scritto: “La poesia non vola alta e non sormonta la terra con lo scopo di sfuggirla e dominarla. La poesia è colei che per prima porta l’uomo alla terra, rendendolo appartenente ad essa e così lo induce ad abitare”.
Anche Friedrich Hölderlin, insigne poeta tedesco dell’Ottocento, scriveva: “Pieno di merito e tuttavia poeticamente l’uomo abita questa terra”. Ciò significa che i meriti dell’uomo contano poco se egli non è capace di abitare poeticamente. Solo la poesia in tutte le sue forme variate rende l’esistenza umana ricca di significati. Fra tutti l’artista (pittore o poeta, pittore e poeta), ha la possibilità di concretizzare quel mondo in colori ed immagini.
Giuseppe Boaretto fa nascere l’immagine dalla parola. Una immagine sempre nuova con in valore esistenziale di presenza attuale e concreta. Corrono affinità, analogie fra pitture e poesie. La poesia è una pittura che parla, la pittura è una poesia che tace. La sgorgante naturalità del linguaggio riconduce, a volte, alla natura che non è l’unica fonte di ispirazione ma sempre la conquista finale della sua pittura. Boaretto è un pittore astratto. Il suo linguaggio è indipendente da ogni elemento figurativo. C’è solo la natura dell’arte, o se si preferisce, la “Sostanza del colore”, il titolo della grande mostra antologica del 1995 nel Kursaal di Abano Terme. Il colore fresco e vitale spalmava tutta la sua vitale cromatica sul clima unitario dell’esposizione. Il pittore dava forma alla percezione del mondo del suo spirito. Nelle tele una visione inaspettata: l’emozione di un sogno d’amore, la memoria dell’infanzia, la gioia, il dolore, il desiderio di cielo, l’idea d’infinito. Ed il colore, la luce, la grafia sostanziano l’immaginario di Giuseppe Boaretto, tracciano lo spazio vibrante di una pittura al di fuori del tempo. Almeno del tempo convenzionale.
Ecco come si svolge il suo processo pittorico, come si compone un’immagine. Una stesura cromatica vibrante in continuo movimento infonde ad ogni timbro di colore una vitalità che della materia determina zone compatte e zone rarefatte, momenti di estasi e cadute in profondità remote, per poi risalire improvvisamente con guizzi di colore alla superficie.
L’ispirazione si trova scritta nel supporto del quadro, di solito un brevissimo verso, affiorato dalla parte intima, più segreta della sua personalità. Piccoli epigrammi che servono al ricordo, ai richiami d’amore alle riflessioni interiori.
Dice il poeta:
“Ci sono giorni
con l’anima…
e notti
con la luna
le ore più belle
sono solo con le…”
(Giuseppe Boaretto)
Ancora, ecco affiorare il colore, una forma, discesa nel tempo dell’uomo e del suo destino:
“Viola
è la profondità
di un pensiero
che non finisce…
mai”.
(Giuseppe Boaretto)
Se l’immagine si perde e sfuma diafana nella luce, per il pittore:
“E’ un’ombra
che si allontana
nel sole”.
(Giuseppe Boaretto)
A volte l’iscrizione poetica ha contenuto morale e di sprone:
“Se vuoi salire
non fermarti
sull’asfalto”.
(Giuseppe Boaretto)
Altre volte la poesia e la pittura sono le forze ispiratrici, allontanano dal banale, aiutano a fuggire dalla quotidianità:
“Stendo il colore
per dire il dolore
stendo il colore
per dire amore
sono vuoto
sono solo
sono mendicante
vagabondo
una parola non basta
una tela on basta
una vela… si…
per salpare…”.
(Giuseppe Boaretto)
Ritornano i versi di Hölderlin su significato di abitare il mondo, sulla necessità dell’uomo di vivere producendo la particolare condizione materiale e spirituale che si chiama poesia. Rendere le cose concrete, generali e visibili; rendere la realtà fantastica, fascinosa, a volte irrazionale.
“Ti macchio tela
per dire le parole
che non so”.
(Giuseppe Boaretto)
Distici scelti alla rinfusa dei foglietti, nel disordine del suo studio. Nati da una specie di eccitazione somatica, da uno stato di tensione premuta da stimoli interni, dalla pulsione poetica. Occorre scrivere e scrivere. Ogni mezzo è utile allo scopo: il foglio strappato di un’agenda, lsa copertina di un carnet di assegni, persino il coperchio di una scatola di fiammiferi. Naturalmente scrivere poetando per burlarsi del mondo, … forse! Certo non lo spaventa la folla, né le code, ne i semafori, né le file delle banche e delle poste, così esorcizza questi fastidi moderni:
“Essere soli
nella moltitudine
è sognare
a Sole aperto”.
(Giuseppe Boaretto)
Resta tuttavia dominante la qualità evocativa del colore, la forza primigenia del suo linguaggio, l’apparenza della sua verità interiore. Il colore cioè. “come fiaba, sogno desiderio, materia che reinvesta il mondo”. Colore come scrittura di poesia che muove verso l’infinità dello spazio-orizzonte. “Tutto lo spazio-orizzonte ha scritto Giulio Carlo Argan sulla pittura di eguale cifra di Antonio Corpora, non è che una somma di strati diafani e palpitanti, lacerati talvolta come ragnatele o pieni di grumi galleggianti dove la luce alle volte si ingorga e risplende”. Come nella pittura di Giuseppe Boaretto appunto.
“Egli vive nel colore come si vive nel destino”.
Aveva ragione Pierre Restany: “La grandezza di un pittore non si misura in termini di estetica e nemmeno in quelli della morale. La grandezza di un pittore è nella misura della sua sensibilità”.
Ebbene la sua capacità di sentire è racchiusa in un bozzolo quasi patologico di timidezza. E, tuttavia, rotto da una predisposizione naturale da una sensibilità e umiltà innate per esprimere in modo adeguato sentimenti, affetti, emozioni.
Lo spazio colorato è posseduto come sostanza emotiva, strasformato e modulato da segni modulati dalla luce, costruito fuori dalla sfera naturale da ispirazioni e messaggi.
“Un fiore mai cade
se un cuore lo raccoglie”;
“Le montagne dello spirito
non hanno parole”;
“Il quadro è un mondo
che parla attraverso il silenzio”.
(Giuseppe Boaretto)
Altre piccole notazioni poetiche nascono dalla vita di ogni giorno:
“Rondini che nell’estate la sera partite
non portate via i sogni miei
anch’io amo sognare…”.
(Giuseppe Boaretto)
Perciò,
“Il sogno più bello
rimane sempre un sogno”.
(Giuseppe Boaretto)
Per questo tramite si risale a Kandinskj, alla teoria dell’espressionismo puro.
“L’opera d’arte, sosteneva agli inizi del novecento, è l’espressione esteriore di una necessità interiore… Agisce direttamente sull’animo come un suono musicale”.
L’artista russo ha applicato una teoria di applicazione universale riferita alla psicologia dell’uomo. Ecco come spiega il meccanismo nello “Spirituale dell’arte”, testo fondamentale dell’arte moderna. “Lo spirito creativo riesce ad aprirsi un passaggio, dapprima in un’anima. Poi nelle anime, suscitando una nostalgia, l’impulso interiore diviene tanto forte da creare un novo valore nello spirito umano, un valore che incomincia a vivere nella coscienza o nell’inconscio dell’uomo. Da quel istante consapevole o inconsapevole l’uomo si mette a cercare una forma materiale per il nuovo valore che vive in lui in forma spirituale”. Sia pure a livello inconscio, senza avere piena consapevolezza, Giuseppe Boaretto cerca nelle sue pitture lo stesso amore Kandiskiano alla purezza del colore, alla verità interiore dell’appassionante bellezza del percepire, del conoscere e del creare. È un linguaggio astratto che spiega “gli stati d’animo” toccati dall’artista come i tasti di un pianoforte per metter in “vibrazione l’anima umana”. Leggevo i quadri che l’autore sfogliava, mano a mano nello studio-capanno infisso nel verde. Prevaleva l’azzurro, “il più immateriale dei colori ed il più profondo perché l’occhio vi si perde senza ostacoli in una sorta di nirvana ottico ed emozionale”. Così, “il linguaggio del silenzio” , “il cielo senza meta”, “meditazioni sull’azzurro” , sono insiemi di macchie colorate di azzurro, raccordate da ritmi di bianco materico, aggrumato a sottolineare quasi il silenzio profondo dell’infanzia, nella quiete delle origini, “del tempo bianco delle ere glaciali”. Altre volte l’azzurro degrada nel celeste con incroci e trasparenze di vetrata. Il cielo è sereno, il mare è calmo. Sono segni scaturiti dall’Essere, quasi scritture automatiche. Incisi o a rilievo tracciano colori di lontananze, spiragli di cielo, bagliori di luci vespertine. Cinque frammenti di vecchie tegole monocrome incollate sulla tela hanno un altissimo valore evocativo. Il calore dell’abitare nella casa paterna, sui Colli, il ricordo dell’antica tradizione contadina, ormai trascorsa. Questa materia povera trasferisce alla memoria la carica di una vita vissuta. Nel quadro le “Tegole, rondini e cielo” mentre il giallo riscalda il cuore, il verde della tela offre la quieta frescura di un fascio di erba tagliata da un prato di trifoglio a primavera. Come sempre l’azzurro:
“Saliva,
saliva nel silenzio,
profondo pungeva
senza bucare”.
(Giuseppe Boaretto)
Ancora Kandiskj per capire e confermare. “L’essenziale per me è poter dire ciò che voglio, raccontare il mio sono”. “ Considero la tecnica e la forma stessa come dei semplici strumenti per spiegarmi e, del resto, ciò che racconto non ha carattere narrativo né storico”.
Critico Salvatore Antonio Demuro