venerdì 9 ottobre 2009

Introduzione ala mostra: Essere colore del colore

Curatrice: Marzia Banci

Gentilissimi,

siamo molto felici di essere insieme al pittore Giuseppe Boaretto ad aprire questo vernissage della mostra: “Essere colore del colore”.

Per iniziare ringraziamo il Signor Sindaco della Città di Padova Flavio Zanonato, per averci concesso lo spazio espositivo in cui si è aperta la mostra e per la testimonianza che ha dedicato al pittore.

Ringraziamo il Vicesindaco Claudio Sinigallia per essere qui questa sera con noi a portarci il saluto dell’amministrazione comunale e suo.

Ringrazio la Signora Marisa Paccagnella che tanto si è prodigata per far avere questo spazio espositivo al pittore.

Ringrazio anche tutti Voi che siete presenti all’apertura di questa mostra per noi importante.

Desidero porre alla Vostra attenzione il pittore Giuseppe Boaretto.

Egli è nato a Galzignano e vive e lavora da cinquanta anni in Montegrotto Terme.

E’ un pittore autodidatta, amante della poesia di Höederling, Leopardi, Petrarca, Shakespeare, Campana, Dickinson. Giuseppe Boaretto è sempre stato molto coerente e produttivo in questa forma espressiva: la pittura. Sin da giovanissimo si è dedicato alla pittura, col tempo ha maturato la sua luce ed i suoi colori.

Nel 1983 ha incontrato il poeta Mario Luzi al Teatro Antoniano dei Gesuiti di Padova, dal quale dopo aver ascoltato “Occhi neri”, ha ricevuto parole di incoraggiamento ad andare avanti nella scrittura delle poesie.

Negli anni ’90 ha frequentato la Sommer Accademy di Salisburgo, dove ha avuto modo di lavorare con personalità di grande rilievo. Tra questi, il famoso fotografo e pittore Henri Cartier-Bresson, il quale oltre ad essere un suo collega di corso, ha avuto, con lui, scambi epistolari di stima ed affetto. Ha avuto la possibilità di relazionarsi con Emilio Vedova dal quale ha ricevuto parole d’elogio riguardo alla sua espressione pittorica.

Nel 2000 "La Stampa" pubblica la sua poesia "Piccole stelle", presentata da Igor Man.

“Essere colore del colore”, il titolo di questa esposizione lo ha deciso l’artista.

Ecco cosa si sente di essere questo pittore nei suoi quadri.

Oggi, siamo qui per guardare ed ascoltare un uomo che ha lavorato con gli affetti ed il colore.

Lasciarsi guardare significa fare un passo avanti nella relazione che si stabilisce fra ciò che crediamo di essere e quello che l’altro vede in noi, accettando anche lo “stiletto” del critico.

L’arte va condivisa, è amore, e deve girare, mostrarsi, dire ed ascoltare.

Ora vi lascio all’introduzione del critico Giorgio Segato ed alle parole del pittore-poeta Giuseppe Boaretto, ascolteremo sue poesie.

Giuseppe Boaretto ha sempre amato la pittura, ed ha dipinto. Non ritrae figure, né paesaggi reali, egli esterna e dipinge paesaggi e figure dell’anima attraverso la poesia che diviene colore vivace, dal tratto veloce, intenso.

Da quindici anni ha iniziato a dipingere tele sempre più grandi (2x2 metri e 3,14x2 metri) con molta energia. Nelle ampie dimensioni del quadro egli affronta i grandi temi della vita.

Era molto tempo che il pittore non esponeva; egli pensava di avere più bisogno di lavorare, per esprimersi, per poi forse esporsi.

Inaspettatamente il Comune di Padova, nella persona del Sindaco Flavio Zanonato, ha promosso una sua mostra che rimarrà aperta dall’8 al 26 aprile 2009, qui nella Sala della Loggia della Granguardia.

Curatrice Marzia Banci

(Aprile 2009)

Saluto del Sindaco di Padova

E’ con vivo piacere che ospitiamo nello spazio della Gran Guardia: “Essere colore del colore”, la mostra personale del pittore Giuseppe Boaretto, un artista affascinato dalla purezza del colore, che attraverso di esso suscita emozioni straordinarie.

Per la nostra Amministrazione, ospitare artisti e dare loro l’opportunità di trovare uno spazio di verifica e consenso della propria opera è un atto di riguardo, che va al di là dell’evento culturale fine a stesso, per diventare momento collettivo di conoscenza delle forze artistiche che vivono e operano nel nostro territorio.

Sindaco della Città di Padova Flavio Zanonato

(Aprile 2009)

Critico: Giorgio Segato

La pittura per Giuseppe Boaretto non è semplicemente una grande passione, un esercizio della visione interiore della mente e del cuore: è necessità intima di ricerca di identità emotiva ed etica col “fiume della vita”, immersione completa nel fiume mobilissimo degli stati d’animo, delle percezioni che si intrecciano, si accumulano, si dilatano e si contraggono nello spazio interiore e nella mente, entrambi molto più vasti dello spazio fisico esterno.

La pittura è un tuffo nell’immateriale che assume in colori di stati psichici, di atmosfere sub-materiali, di visioni che si intersecano, creano ritmi armonici, campi cromatici ora di emergenza ora di naufragio, luoghi di energia che assorbono completamente il pittore senza confini, senza orizzonti, in un confondersi del senso della vita, del fiorire, del germogliare e fermentare, che costituiscono il tema fondamentale del fare pittura di questo autore sensibilissimo ed appartato che vive l’evento cromatico come “tracimare” di emozioni. Egli ha necessità anche della parola, della sintesi sonora, quasi esplosione lirica molto prossima agli Haiku giapponesi.

Pittura e poesia, colore e parola sono emergenze intuitive, coordinate da una sensibilità liberata da ogni riferimento naturalistico, di rappresentazione, è i racconto di risonanze interiori, dimensione pura in cui lasciarsi coinvolgere, leopardianamente naufragare abbandonando i sensi alla sinestesia, alla evocazioni più diverse con le radici più profonde, nell’infanzia, nell’adolescenza, che si riverberano poi nella parola, nel verso breve che è appunto, eco del mondo e delle voci di dentro.

Semplicità e immediatezza sono i caratteri fondamentali della pittura, della poesia di Boaretto e del suo fare arte con costante ricerca di illuminazione di comprensione emotiva, ed esistenziale, di compenetrazione di memoria sensitiva e di infinito amore.

Critico Giorgio Segato

(Aprile 2009)

Critico: Salvatore Antonio Demuro

Luogo comune fondamentale e ricorrente nel grande arco della storia dell’arte, il rapporto fra pittura e poesia, trova nell’opera di Giuseppe Boaretto una conferma, anzi un ribaltamento dei termini di confronto. L’autore muove da un proprio testo poetico per esprimere un’immagine dipinta. In quel testo sono raccolti i primi moti: i sentimenti, i pensieri, le emozioni, gli stati d’animo che premono “sull’invenzione” del pittore. Diventano l’autentica ed unica fonte del quadro, concepito nello spirito dell’autore “come se avesse visto o avesse ancora davanti agli occhi il soggetto della sua immaginazione si provasse di rendere”. Premuto dà necessità interiore Boaretto da forma alla percezione del mondo del suo spirito, delle emozioni che prova per un sogno d’amore, alle gioie, ai dolori, al desiderio di cielo, all’idea d’infinito, a tutte quelle sensazioni che vibrano di mistero cosmico. Di solito, annota sul supporto del quadro un brevissimo sonetto, meglio una strofa, un verso.

“La tela che amo:

Bianca!

Per sognare tutte

le avventure”.

(Giuseppe Boaretto)

Una dichiarazione d’intenti: la trasformazione visionaria della realtà. La scelta cioè di uno spazio, di un mezzo per un percorso poetico che vuole rifiutare la “mimesi” e trovare nel colore la forza primigenia, l’apparenza della sua verità interiore. Il colore, cioè, “come fiaba, sogno, desiderio, materia che reinventa il mondo”. Dunque la certezza dell’ignoto e l’arte come tecnica, funzione autonomamente espressiva del colore “che si eleva oltre la sfera della natura o della sua imitazione, per penetrare nel mondo particolare dell’artista dove:

“Un fiore

mai cade

se un cuore

lo raccoglie”.

(Giuseppe Boaretto)

Giuseppe Boaretto cerca nelle sue pitture la purezza del colore , la verità interiore dell’appassionante bellezza del percepire, del conoscere e del creare.

Critico Salvatore Antonio Demuro

(Aprile 2009)

giovedì 8 ottobre 2009

Presentazione della Critica

Nel confronto gioioso con la natura Giuseppe Boaretto trova la consapevolezza di essere fatto della stessa materia viva di cui il pittore rintraccia nel profondo la struttura.

Andare oltre il velo del reale toccando i luoghi della creazione. Il metodo di ricerca e di invenzione è la poesia: metafora della nascita del mondo. Martin Heidegger ha scritto: “La poesia non vola alta e non sormonta la terra con lo scopo di sfuggirla e dominarla. La poesia è colei che per prima porta l’uomo alla terra, rendendolo appartenente ad essa e così lo induce ad abitare”.

Anche Friedrich Hölderlin, insigne poeta tedesco dell’Ottocento, scriveva: “Pieno di merito e tuttavia poeticamente l’uomo abita questa terra”. Ciò significa che i meriti dell’uomo contano poco se egli non è capace di abitare poeticamente. Solo la poesia in tutte le sue forme variate rende l’esistenza umana ricca di significati. Fra tutti l’artista (pittore o poeta, pittore e poeta), ha la possibilità di concretizzare quel mondo in colori ed immagini.

Giuseppe Boaretto fa nascere l’immagine dalla parola. Una immagine sempre nuova con in valore esistenziale di presenza attuale e concreta. Corrono affinità, analogie fra pitture e poesie. La poesia è una pittura che parla, la pittura è una poesia che tace. La sgorgante naturalità del linguaggio riconduce, a volte, alla natura che non è l’unica fonte di ispirazione ma sempre la conquista finale della sua pittura. Boaretto è un pittore astratto. Il suo linguaggio è indipendente da ogni elemento figurativo. C’è solo la natura dell’arte, o se si preferisce, la “Sostanza del colore”, il titolo della grande mostra antologica del 1995 nel Kursaal di Abano Terme. Il colore fresco e vitale spalmava tutta la sua vitale cromatica sul clima unitario dell’esposizione. Il pittore dava forma alla percezione del mondo del suo spirito. Nelle tele una visione inaspettata: l’emozione di un sogno d’amore, la memoria dell’infanzia, la gioia, il dolore, il desiderio di cielo, l’idea d’infinito. Ed il colore, la luce, la grafia sostanziano l’immaginario di Giuseppe Boaretto, tracciano lo spazio vibrante di una pittura al di fuori del tempo. Almeno del tempo convenzionale.

Ecco come si svolge il suo processo pittorico, come si compone un’immagine. Una stesura cromatica vibrante in continuo movimento infonde ad ogni timbro di colore una vitalità che della materia determina zone compatte e zone rarefatte, momenti di estasi e cadute in profondità remote, per poi risalire improvvisamente con guizzi di colore alla superficie.

L’ispirazione si trova scritta nel supporto del quadro, di solito un brevissimo verso, affiorato dalla parte intima, più segreta della sua personalità. Piccoli epigrammi che servono al ricordo, ai richiami d’amore alle riflessioni interiori.

Dice il poeta:

“Ci sono giorni

con l’anima…

e notti

con la luna

le ore più belle

sono solo con le…”

(Giuseppe Boaretto)

Ancora, ecco affiorare il colore, una forma, discesa nel tempo dell’uomo e del suo destino:

“Viola

è la profondità

di un pensiero

che non finisce…

mai”.

(Giuseppe Boaretto)

Se l’immagine si perde e sfuma diafana nella luce, per il pittore:

“E’ un’ombra

che si allontana

nel sole”.

(Giuseppe Boaretto)

A volte l’iscrizione poetica ha contenuto morale e di sprone:

“Se vuoi salire

non fermarti

sull’asfalto”.

(Giuseppe Boaretto)

Altre volte la poesia e la pittura sono le forze ispiratrici, allontanano dal banale, aiutano a fuggire dalla quotidianità:

“Stendo il colore

per dire il dolore

stendo il colore

per dire amore

sono vuoto

sono solo

sono mendicante

vagabondo

una parola non basta

una tela on basta

una vela… si…

per salpare…”.

(Giuseppe Boaretto)

Ritornano i versi di Hölderlin su significato di abitare il mondo, sulla necessità dell’uomo di vivere producendo la particolare condizione materiale e spirituale che si chiama poesia. Rendere le cose concrete, generali e visibili; rendere la realtà fantastica, fascinosa, a volte irrazionale.

“Ti macchio tela

per dire le parole

che non so”.

(Giuseppe Boaretto)

Distici scelti alla rinfusa dei foglietti, nel disordine del suo studio. Nati da una specie di eccitazione somatica, da uno stato di tensione premuta da stimoli interni, dalla pulsione poetica. Occorre scrivere e scrivere. Ogni mezzo è utile allo scopo: il foglio strappato di un’agenda, lsa copertina di un carnet di assegni, persino il coperchio di una scatola di fiammiferi. Naturalmente scrivere poetando per burlarsi del mondo, … forse! Certo non lo spaventa la folla, né le code, ne i semafori, né le file delle banche e delle poste, così esorcizza questi fastidi moderni:

“Essere soli

nella moltitudine

è sognare

a Sole aperto”.

(Giuseppe Boaretto)

Resta tuttavia dominante la qualità evocativa del colore, la forza primigenia del suo linguaggio, l’apparenza della sua verità interiore. Il colore cioè. “come fiaba, sogno desiderio, materia che reinvesta il mondo”. Colore come scrittura di poesia che muove verso l’infinità dello spazio-orizzonte. “Tutto lo spazio-orizzonte ha scritto Giulio Carlo Argan sulla pittura di eguale cifra di Antonio Corpora, non è che una somma di strati diafani e palpitanti, lacerati talvolta come ragnatele o pieni di grumi galleggianti dove la luce alle volte si ingorga e risplende”. Come nella pittura di Giuseppe Boaretto appunto.

“Egli vive nel colore come si vive nel destino”.

Aveva ragione Pierre Restany: “La grandezza di un pittore non si misura in termini di estetica e nemmeno in quelli della morale. La grandezza di un pittore è nella misura della sua sensibilità”.

Ebbene la sua capacità di sentire è racchiusa in un bozzolo quasi patologico di timidezza. E, tuttavia, rotto da una predisposizione naturale da una sensibilità e umiltà innate per esprimere in modo adeguato sentimenti, affetti, emozioni.

Lo spazio colorato è posseduto come sostanza emotiva, strasformato e modulato da segni modulati dalla luce, costruito fuori dalla sfera naturale da ispirazioni e messaggi.

“Un fiore mai cade

se un cuore lo raccoglie”;

“Le montagne dello spirito

non hanno parole”;

“Il quadro è un mondo

che parla attraverso il silenzio”.

(Giuseppe Boaretto)

Altre piccole notazioni poetiche nascono dalla vita di ogni giorno:

“Rondini che nell’estate la sera partite

non portate via i sogni miei

anch’io amo sognare…”.

(Giuseppe Boaretto)

Perciò,

“Il sogno più bello

rimane sempre un sogno”.

(Giuseppe Boaretto)

Per questo tramite si risale a Kandinskj, alla teoria dell’espressionismo puro.

“L’opera d’arte, sosteneva agli inizi del novecento, è l’espressione esteriore di una necessità interiore… Agisce direttamente sull’animo come un suono musicale”.

L’artista russo ha applicato una teoria di applicazione universale riferita alla psicologia dell’uomo. Ecco come spiega il meccanismo nello “Spirituale dell’arte”, testo fondamentale dell’arte moderna. “Lo spirito creativo riesce ad aprirsi un passaggio, dapprima in un’anima. Poi nelle anime, suscitando una nostalgia, l’impulso interiore diviene tanto forte da creare un novo valore nello spirito umano, un valore che incomincia a vivere nella coscienza o nell’inconscio dell’uomo. Da quel istante consapevole o inconsapevole l’uomo si mette a cercare una forma materiale per il nuovo valore che vive in lui in forma spirituale”. Sia pure a livello inconscio, senza avere piena consapevolezza, Giuseppe Boaretto cerca nelle sue pitture lo stesso amore Kandiskiano alla purezza del colore, alla verità interiore dell’appassionante bellezza del percepire, del conoscere e del creare. È un linguaggio astratto che spiega “gli stati d’animo” toccati dall’artista come i tasti di un pianoforte per metter in “vibrazione l’anima umana”. Leggevo i quadri che l’autore sfogliava, mano a mano nello studio-capanno infisso nel verde. Prevaleva l’azzurro, “il più immateriale dei colori ed il più profondo perché l’occhio vi si perde senza ostacoli in una sorta di nirvana ottico ed emozionale”. Così, “il linguaggio del silenzio” , “il cielo senza meta”, “meditazioni sull’azzurro” , sono insiemi di macchie colorate di azzurro, raccordate da ritmi di bianco materico, aggrumato a sottolineare quasi il silenzio profondo dell’infanzia, nella quiete delle origini, “del tempo bianco delle ere glaciali”. Altre volte l’azzurro degrada nel celeste con incroci e trasparenze di vetrata. Il cielo è sereno, il mare è calmo. Sono segni scaturiti dall’Essere, quasi scritture automatiche. Incisi o a rilievo tracciano colori di lontananze, spiragli di cielo, bagliori di luci vespertine. Cinque frammenti di vecchie tegole monocrome incollate sulla tela hanno un altissimo valore evocativo. Il calore dell’abitare nella casa paterna, sui Colli, il ricordo dell’antica tradizione contadina, ormai trascorsa. Questa materia povera trasferisce alla memoria la carica di una vita vissuta. Nel quadro le “Tegole, rondini e cielo” mentre il giallo riscalda il cuore, il verde della tela offre la quieta frescura di un fascio di erba tagliata da un prato di trifoglio a primavera. Come sempre l’azzurro:

“Saliva,

saliva nel silenzio,

profondo pungeva

senza bucare”.

(Giuseppe Boaretto)

Ancora Kandiskj per capire e confermare. “L’essenziale per me è poter dire ciò che voglio, raccontare il mio sono”. “ Considero la tecnica e la forma stessa come dei semplici strumenti per spiegarmi e, del resto, ciò che racconto non ha carattere narrativo né storico”.

Critico Salvatore Antonio Demuro

L'Ambiente di Vita

Galzignano Terme è un paese posto ai piedi dei Colli Euganei (nel Parco Regionale dei Colli Euganei). Ricco di storia e sui pendii coltivati e smossi serpeggiano filari di viti.

Sorgono i colli in successione sull’ampia, piatta campagna ferace, rivestiti di colture e di boschi. Ai margini fanno da cornice e da “porta” le sette chiesette di Monselice, custodi della fede e la “Villa Duodo” che lo Scamozzi disegnò al termine di un belvedere.


La luce intensa distribuita uniformemente nell’aria trasparente conferisce alle forme delle colline un’accentuata presenza plastica. Sostiene Norberg – Schulz che un paesaggio capace di accogliere la luce senza perdere la sua presenza concreta può dirsi “classico”. Favorisce la convivenza, contribuisce a liberare la vitalità umana e la sua individualità.

Insomma l’uomo classico di fronte alla natura riduce il paesaggio a una veduta, introduce equilibrio armonioso fra la terra e il cielo. Esprime la contemplazione dei fenomeni naturali, delle cose, del mondo, s’identifica con l’ambiente.

Ecco allora il significato di abitare: "Appartenere ad un luogo concreto cogliendo le esperienze e le vocazioni di quel luogo".

Giuseppe Boaretto è nato qui, a Galzignano Terme il 19 marzo 1928. E’ vissuto nel villaggio. Ha inseguito sogni, ideali, fantasie, soprattutto interpretando poeticamente la realtà oggettiva dei luoghi e dei suoi caratteri.

Fin dall’infanzia, come tutti i bambini, ha teso un rapporto di correlazione con i significati dell’ambiente. E’ cresciuto in spazi verdi, ha camminato su viottoli scoscesi, giuocato sulla pietra e sul muschio, ascoltato i rumori e i suoni, il fruscio del vento che muove con diversi timbri le fronde degli alberi. Questo avvenne sotto il cielo nuvoloso o sereno, stabile o variabile secondo il mutare delle stagioni. Così “da bambino ha preso coscienza dell’ambiente e sviluppato i suoi schemi percettivi che ne determinano le esperienze successive”. Giacché bisogna essere nel mezzo delle meraviglie della natura per percepirla, per sentirla, per figurarla alla vista o all’immaginazione.

E’ un’autodidatta che riesce a formarsi e a maturarsi meditando, sulla natura e sulla condizione umana, in un passaggio “in cui vivono gli eroi e soggiornano i morti e gli dei”. Le numerose cime euganee sono state sede di templi votivi e di are. Sul Monte della Madonna in tempo antico sorgeva un tempio dedicato a Plutone. Sul versante settentrionale c’è la Grotta di Santa Felicita ed il tempietto di Sant’Agostino del Fogo, ancora, il poggio sacro alle dee di Erebo, dette Fiorine, amiche del dio Plutone. Persino nella Villa dei Vescovi, in una sala affrescata da scene mitologiche, si avverte, per il tramite di uno sguardo inquietante e diabolico di un satiro, il soffio di oscure presenze. Del resto la natura geologica dei Colli Euganei, l’incontro del magma con l’acqua, la presenza di strapiombi di roccia, di forre, di voragini presenta le condizioni di un mondo sotterraneo che conduce fino alla viscere della Terra.


Lo spirito del luogo rivela forme avvolte dal mistero che fondono caratteri esoterici a religiosità iniziatiche. Proprio nei primi secoli del cristianesimo si sviluppò su questi coni montuosi il fenomeno di un eremitaggio, la misteriosità di una possibile tebaide veneta. Strutture e significati che a suo tempo originarono cosmogonie, leggende e tradizioni mitologiche che hanno costituito le basi dell’abitare, cioè non solo la dottrina del mondo ma anche la visione poetica delle sue origini. “Andare per Colli” è come avviare un cammino iniziatico in luoghi per così dire “sacri” designati dalle guide ma avvolti da una poesia luminosa liberata dalle contingenze. La bellezza risplende nella vegetazione e nella flora originaria che lussureggia tra i tornanti dei campi coltivati o deserti. L’apparenza cromatica dei fiori genera nell’artista la verità esteriore e interiore dei colori primitivi: il bianco, il giallo ,il rosso, l’azzurro, che scende fino al nero “Sui pendii petrosi vedrai le piagge di color diverso coprirsi come a primavera suole” , ha scritto il poeta Giuseppe Boaretto. Anzi in questi territori nascono in modo endemico piante esclusive. Il giallo solare dei fiori del fico d’india nano, le delicate sfumature rosa del semprevivo, il vermiglio del giglio di San Giovanni, le variegate orchidee.

Le mole specie botaniche rivestono l’ambiente di mille colori. La veduta propone immagini pittoresche di felicità e di bellezza. Corrono assonanze poetiche che un viaggiatore d’eccezione, Wolfgang Goethe, ha scritto nel suo Diario in Italia 19 febbraio 1787,E’ sorprendente l’affinità di sentimento stupefatto con la veduta dei Colli”.


Al di sopra della terra per tutto il giorno aleggia un vapore che si conosce solo nei quadri di Claude Lorrain, ma è difficile che tale fenomeno naturale sia visibile, come qui, in tutta la sua bellezza. Fiori sconosciuti, spuntano ora dalla terra e nove fioriture dagli alberi; i mandorli che fioriscono sono apparizioni nuove ed aeree fra le querce di un verde scuro, il cielo è come un taffetà illuminato dal Sole.

Da un analogo turbamento nasce la pulsione creativa dell’artista, Giuseppe Boaretto, umile e semplice pittore autodidatta.

Critico Salvatore Antonio Demuro